Il pianeta Terra – la nostra casa, e quella delle persone che amiamo – sta bruciando.
Il cambiamento climatico, rapido e inesorabile, sta destabilizzando il mondo in cui viviamo. La scienza è oramai unanime: col passare del tempo, diventa sempre più difficile (e di conseguenza sempre più improbabile) riuscire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra abbastanza velocemente per evitare la catastrofe.
Ciò significa che presto (fra pochi anni) potremmo raggiungere un punto di non ritorno che porterà al collasso generalizzato degli ecosistemi viventi, e con loro la fine della nostra civilizzazione.
Nonostante scienziati, imprenditori e attivisti – specialmente delle giovani generazioni – chiedano di prendere delle misure urgenti per evitarlo, la maggioranza dei leader politici non sembra voler prendere impegni concreti per scongiurare questa catastrofe annunciata.
Come ha dichiarato recentemente il segretario generale delle Nazioni Unite, i leader politici stanno semplicemente mentendo: dicono una cosa e ne fanno un’altra.
Questo qui sopra è un riassunto della situazione attuale sul cambiamento climatico, ispirata dal video divulgativo “We WILL Fix Climate Change!“ – che vi invito a guardare per avere una rinfrescata veloce sulla situazione e per mantenere un minimo di speranza nel futuro dell’umanità (io lo guardo nei momenti di disperazione più acuti).
Da oramai più di 12 anni lavoro – direttamente o indirettamente – su problematiche legate al cambiamento climatico; per tutto questo tempo sono quindi stato esposto a queste informazioni, lavorando a contatto con comunità scientifiche, associative e imprenditoriali attive su questi temi.
Nonostante questo, sorprendentemente, solo da un paio d’anni ho preso piena coscienza del problema; solo da poco la mia coscienza ha deciso di ascoltare il vero, profondo messaggio che sta dietro queste informazioni. Prima di allora, tutto questo era più che altro un rumore di fondo che stava lì e che non ero capace di accettare a pieno (la mia intuizione mi dice che ci sia qui qualche meccanismo psicologico di autodifesa, ma non ho ancora avuto modo di approfondire).
Se pensate che esagero vi invito a (1) rileggere quello che ho scritto sopra (2) documentarvi e, solamente in seguito, (3) a contattarmi per convincermene (per mesi ho cercato articoli, persone e risorse capaci di persuadermi che non poteva essere vero: come ci avevo sperato!).
Scrivo questo testo a fine luglio 2022, durante una delle ondate di calore più potenti di tutta la storia d’Europa; un mese in cui numerosi record di temperature estreme in vari paesi Europei sono stati battuti.
Lo scrivo dall’Italia, paese dove sono ritornato dopo venti anni di assenza; un paese che attraversa una delle più gravi siccità della sua storia (non piove adeguatamente da quasi un anno); un paese i cui ghiacciai si stanno sfaldando e la cui capitale (ma non solo) sta letteralmente bruciando, in cui varie città stanno subendo blackout continui a causa del ricorso intensivo all’aria condizionata.
Lo scrivo con lo sguardo rivolto all’Europa, in particolare alla Francia dove c’è un pezzo della mia vita, dove incendi di intensità e dimensioni storiche stanno interessando le zone più calde, e dove anche nelle regioni tradizionalmente più fresche come la Bretagna si sono registrati più di 40 gradi.
Leggere queste cose vi spaventa? A me tantissimo.
Ci sono momenti in cui sono disperato, altri in cui riesco ad essere più propositivo.
Ma lo scopo di questo testo non è quello di spaventare, ma di condividere un ragionamento. Allora eccolo.
Il mio “programma perfetto” per trasformare la più grande crisi di tutti i tempi in un’occasione per risollevare un paese in fin di vita
Il mediterraneo è considerato dagli esperti una delle zone del mondo più vulnerabili, in cui i cambiamenti climatici stanno avendo gli effetti più pronunciati; una zona dunque in cui gli effetti a medio termine potrebbero essere dei più devastanti.
L’Italia, per la sua posizione centrale nel Mediterraneo, è uno dei paesi europei a più alto rischio climatico ed uno dei meno proattivi sulla mitigazione e l’adattamento a questi cambiamenti. Infatti, negli ultimi anni, le temperature in Italia sono cresciute più velocemente che nel resto del mondo.
L’Italia è quindi un avamposto dell’Europa, uno dei paesi di “frontiera” che per primo farà (o sta facendo?!) i conti con le conseguenze di tali cambiamenti. Dall’altro lato, la sua appartenenza all’Europa gli offre un’infrastruttura politica ed economica più solida di altri paesi isolati politicamente (pensiamo ad alcuni paesi del Sudamerica, dell’Asia o del Medio Oriente).
Tutte queste riflessioni mi hanno portato nell’ultimo anno a maturare una visione che ho in questi giorni condiviso con amici, imprenditori ed esponenti politici a me vicini:
Gli scienziati non smettono di ripeterci che le tecnologie e le soluzioni esistono (desalinizzazione, agricoltura di precisione, permacultura, rimozione del carbonio, riforestazione e vegetalizzazione, nuovi materiali che assorbono i gas effetto serra) e che oggi siamo in una posizione molto più favorevole di 10 o 20 anni fa per combattere i problemi ambientali. Inoltre, gli stessi scienziati ci dimostrano che i benefici economici di tali provvedimenti supererebbero in poco tempo gli investimenti necessari.
L’Italia, costretta dalle contingenze (non c’è acqua, fa troppo caldo, la crisi energetica è alle porte…per non parlare dei problemi cronici legati alla disoccupazione e al mercato nero), potrebbe allora decidere di cercare soluzioni politiche, sociali e imprenditoriali a questi problemi, diventando un mega-laboratorio su scala nazionale dove sperimentare e sviluppare metodi, tecnologie e strategie politiche per adattarsi alla crisi climatica e mitigarla. Di certo alcune di queste soluzioni potrebbero alleviare la tensione dei vari settori dell’Italia che già patiscono la crisi climatica, ma voglio spingere il ragionamento ancora più lontano.
In questo scenario, mentre in Italia verrebbero incubate e sviluppate queste soluzioni a partire da problemi contingenti (ricordiamo che per fare e innovare è fondamentale essere vicini al problema!), nel resto d’Europa un agente lento ed inarrestabile – il cambiamento climatico, appunto – porterebbe verso Nord i problemi che il Sud sta già vivendo (e che, secondo lo scenario descritto poc’anzi, starebbe risolvendo).
Nel 2050, Parigi avrà temperature simili a quelle di Bologna. Nel 2040, i paesi del nord Europa avranno uno stress idrico probabilmente simile a quello che stiamo avendo in Italia oggi, e avranno bisogno di tecnologie per coltivazioni a basso consumo d’acqua. Eccetera eccetera.
Ecco quello che potrebbe vedere un imprenditore di fronte ad un tale scenario: in pratica, se sviluppiamo soluzioni in Italia oggi, avremmo di fatto un mercato della dimensione di un intero continente (l’Europa) che sta maturando per essere pronto a comprare tali soluzioni dall’Italia fra 5/10/15/50 anni (in funzione della latitudine) – un po’ come Israele ha fatto per la desalinizzazione, e Tesla per le auto elettriche.
Rileggo e mi sembra di aver scritto un programma perfetto.
Una visione che, partendo dalla disperazione – quella che ognuno di noi dovrebbe provare di fronte alla situazione oggettiva di emergenza climatica che viviamo – sarebbe capace di generare un’occasione epocale per svoltare il futuro dell’Italia, e così cambiare la narrativa italiana del “tutto va male” in un impegno a largo spettro per diventare i pionieri dell’Europa di domani.
O no?
Esercizio per capire insieme
Anche se il mio programma mi sembra perfetto, so che non lo è.
Infatti il mio scopo non è (non ancora!) quello di cercare investitori per realizzarlo ;)
Ho invece pensato a questo testo come uno strumento per fare un esercizio insieme a voi, mi aiutate?
Voglio cercare di capire in cosa il mio programma non funziona, e voglio capirlo profondamente per andare oltre me stesso e poi migliorarlo. Anche perché ho imparato che le idee geniali non esistono oppure, più semplicemente, sono spesso sopravvalutate.
In altre parole, mi chiedo perché non stanno tutti già correndo a fare questa cosa di cui parlo.
Perché questo programma – così apparentemente ovvio, così universalmente condivisibile – non è al centro della politica del paese, né della campagna elettorale attuale (a parte qualche imbarazzante tentativo di populismo ambientale) che fa seguito alla caduta del governo?
Una progettualità di questa scala richiederebbe sforzi congiunti di forze politiche, cittadini, imprenditori, investitori: puoi aiutarmi a capire quali sono gli elementi bloccanti che rendono difficile una tale implementazione?
- Quali sono le barriere politiche?
- Quali le barriere finanziarie e imprenditoriali?
- E quelle culturali, sociali, civiche?
- E, infine, quali sono le problematiche strutturali dell’Italia che lo rendono difficile o impossibile?
Se ti va di partecipare all’esercizio, ti invito a:
- Scrivermi nei commenti – oppure qui su twitter – se hai delle risposte a queste domande o una qualunque opinione riguardo a questi temi
- Mandare questo articolo a chi credi potrebbe contribuire al dibattito: personalità politiche, scienziati e ricercatori, associazioni di settore, imprenditori illuminati e non, attivisti, ecc…
In questa prima fase, voglio capire bene i dettagli degli ingranaggi che bloccherebbero una tale iniziativa, le problematiche complesse che ci sono dietro. Sono convinto che capire in modo intellettualmente onesto e senza false ingenuità sia un primo passo fondamentale per avere un impatto positivo.
Greta non vuole credere che i leader siano cattivi.
Io non riuscirei a crederci nemmeno se lo volessi.
Un grazie speciale ad Alessandra, Aldo, Domenico, Fabio, Gabriele e Valentina che mi hanno consigliato ed aiutato a rendere questo post un po' meno naif e, in generale, a migliorarlo.
Ciao Francesco,
Ho letto tutto d’un fiato. Mi sono un po’ emozionato.
Non so se il programma è perfetto ma certamente logico. Ad essere perfetto è per me l’urgenza, il tono e la scelta di mettersi in gioco.
Grazie per avermi pensato e taggato nel commento. Lo apprezzo molto.
Mi prenderó del tempo per riflettere sulle domande che hai posto e cercare degli spunti per poter contribuire a questa riflessione. Un tema a me caro, tanto in teoria quanto in pratica, è quello del coordinamento di movimenti e reti complesse e degli strumenti di coordinamento in questi contesti. Certamente lo scenario che descrivi rappresenta un (il?) caso centrale. Partirei proprio dal tema/problema del coordinamento per leggere e (provare a) rispondere alle tue domande.
*É stato difficile in REFLOW quanto puó essere difficile su scala nazionale?*
1,2,3) Che tipo di coordinamento sarebbe necessario da un punto di vista politico – finanziario – imprenditoriale – culturale – sociale – civico? quali strumenti (discorsi, modelli, tecnologie) sarebbero necessari per implementarlo? Quali di questi strumenti sono già a nostra disposizione?
4) Quali meccanismi di coordinamento si possono mettere in gioco per superare le problematiche strutturali dell’Italia che rendono difficile o impossibile la transizione ecologica?
Condivido l’articolo con il mio amico Giovanni Mori (che se non conosci ti incoraggio a seguire su Instagram. Un vero attivista, un bravissimo divulgatore, un trascinatore quando si tratta di transizione ecologica). Sarà qui con me nel weekend a Copenhagen, certamente hai fornito un bell’argomento di discussione.
Nel frattempo ti ringrazio ancora per lo spunto.
Dalla (oggi incredibilmente calda) Copenhagen un caro saluto (anche da parte di Justyna)!
Andre
P.S. nel sezione website ti mento il sito del progetto che ho fondato e su cui sto continuando a lavorare (tra le altre cose testando meccanismi di coordinamento ;)