Qualche tempo fa ho annunciato in questo discussissimo post che avrei smesso di lavorare o quasi. L’espressione “smettere di lavorare” è volutamente inesatta e tale inesattezza, oltre ad aver creato qualche giustificata incomprensione (potete leggere questo interessante thread di commenti su facebook), è stata utile per scatenare un dibattito che, con mia sorpresa, ha dimostrato che l’argomento è molto sensibile (le visite del mio poco visitato blog si sono letteralmente impennate). Sono impegnato da mesi in questa ricerca sull’equilibrio professionale e vitale, e ho già spiegato come per me smettere di lavorare sia, in un certo senso, un modo per fare meglio il mio lavoro, o comunque un modo per esercitare il mio impegno etico rispetto al mondo. Cerco di ri-spiegarlo.
en CASTELLANO
puedes ver este video sobre #downshifting
Di formazione sono architetto, e fino a qualche anno fa lavoravo nel campo della progettazione architettonica. Poi i miei interessi si sono spostati verso campi più astratti, e a poco a poco mi sono allontanato da tutto ciò’ che aveva a che fare direttamente la costruzione, tanto che ora la gente non sa mai bene che cosa faccia. Nonostante all’inizio pensassi fosse soltanto la voglia di andare verso l’arte e la creazione, mi sono reso conto che in realtà il punto è che la costruzione mi è sembrata, nel tempo, sempre meno utile e meno stimolante. Non sarò di certo l’unico a credere che l’attuale situazione economica, culturale e spirituale impone una profonda riflessione. Ma se siamo tutti impegnati a fare o a costruire, chi riflette? Forse nessuno ha mai detto che gli architetti debbano riflettere, ma io ho voglia di farlo lo stesso.
in ENGLISH
you can read this about minimalism and network design
Allora questo spostare la mia attenzione sulla riflessione invece che sulla produzione – pensare le idee invece di fare le cose – mi ha portato ad essere sensibile ai problemi di organizzazione, qualità e produttività delle strutture con cui ho collaborato (principalmente piccoli e medi studi di architettura e collettivi artistici). Ne sono emersi spunti interessanti. Mi sembrava che tutti avessero in comune questo problema dell’iperproduttività, intesa non come un’eccellenza nella produzione ma come un eccesso di produttività che era nocivo alla stessa azienda. La concentrazione è spesso spostata sul fare le cose, produrre progetti, trovare clienti. Nel frattempo si trascurano aspetti cruciali come: che cosa stiamo facendo? come possiamo farlo meglio? come possiamo gestire e migliorare la nostra struttura?… ma soprattutto: che cosa vogliamo fare? Ho vissuto in prima persona queste problematiche, particolarmente presenti all’interno di progetti con alto grado di complessità come il progetto di comunicazione e network design dreamhamar: in qualità di coordinatore digitale e project manager, ho cercato di applicare soluzioni drastiche come il minimalismo.
È qui che è nato l’interesse per il concetto di #slowbusiness: fermarsi a pensare. E non per riposarsi, o meglio non solo. Fermarsi a pensare per fare meglio, essere più’ coscienti, decidere in modo cosciente quello che vogliamo fare e (anche) riposarsi. La produttività di qualità, specialmente nel campo della creatività, non è una risorsa infinita. Non si può’ produrre sempre di più. La creatività ha bisogno di spazio. Il tempo vuoto è la nostra nuova pagina bianca. Un workshop slowbusiness consiste fondamentalmente in questo: uno spazio vuoto di qualche giorno disegnato per lasciare spazio a un’attività di meditazione strategica sul futuro dei nostri progetti.
en FRANÇAIS
vous pouvez lire ce billet à propos des blogs dans les agences d’architecture
Poco tempo fa, dal 10 al 12 febbraio 2012, ho avuto modo di applicare questo approccio con lo studio di architettura Hugh Dutton Associés, con il quale collaboro come curator del blog complexitys e come consulente in innovazione e strategic thinking. Con Hugh Dutton abbiamo realizzato a @montecanepino un workshop con una struttura molto leggera e un concetto molto semplice: 3 giorni in campagna, scollegati da tutto, per effettuare una meditazione strategica sul futuro dello studio. In questa esperienza di isolamento, le abbondanti nevicate hanno favorito il silenzio e la concentrazione.
Il workshop, denominato in the future per il suo orientamento verso la progettazione del futuro dello studio, prevedeva due sessioni di lavoro, due uscite in campagna per visitare il Giardino Bonaccorsi e passeggiare, oltre a dei pasti di cucina tradizionale (coordinati da @ivocingolani). Il programma è stato un po’ sconvolto dalla neve ma l’essenza è comunque rimasta. Sono emerse questioni importantissime per lo studio (che condivideremo sul nostro blog) e in molti casi apparentemente banali, ma che avevano bisogno di uno spazio vuoto espressamente disegnato per poter emergere. Inoltre, è stata anche l’occasione per iniziare Hugh Dutton a twitter. Per cui da adesso in poi, se vi interessano i tweet di un architetto in giro per il mondo, potete seguirlo su @hughdutton.
Attualmente, un secondo workshop è previsto per il periodo estivo, sempre a @montecanepino
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slowbusiness workshop + strategic thinking
Se avete suggerimenti o domande, lasciatemi un commento per favore.
Potete anche contattarmi qui.
Grazie.
La foto qua sopra è di Hugh Dutton.
Ringrazio la mia famiglia per l’aiuto logistico. In particolare Gabriele per la macchina con gomme termiche, oltre al già citato @ivocingolani :)
Infine, ringrazio Luca Conti: molte delle mie riflessioni sullo #slowbusiness sono ispirate dalle nostre conversazioni.
2 thoughts on “slowbusiness workshop – il tempo vuoto è la nuova pagina bianca”