#madrid2010 è stato l’anno – e anche l’ashtag! – dell’esplosione: in pochi mesi Madrid è diventato il centro in cui sembrava tutti prima o poi sarebbero arrivati. Dopo molti anni di separazione e viaggi, ho ritrovato a Madrid molte delle persone con cui avevo condiviso progetti, idee e sogni. È stato l’anno in cui io ho scelto di lasciare Parigi, dopo dieci anni, per trasferirmi a Calle Cruz – en el piso del gato encerrado – insieme a @juan_ @demierdadesign e G. de @lacasinegra.
#madrid2011 è stato l’anno della trasformazione. Abbiamo attutito il colpo e digerito l’esplosione. Chi più chi meno si è sistemato, io ho cambiato casa – currently living next to parque del retiro hihihi – ci siamo organizzati e abbiamo avuto modo di riflettere sul futuro, su come andare avanti.
#madrid2012 è alle porte, e si preannunciano cambiamenti importanti per tutti noi…
A parte la mia idea di Lasciare tutto…innanzitutto il lavoro e partire per INTRAVERSO 2012, anche le persone che mi circondano stanno progettando cambiamenti fondamentali nelle loro vite. Ne parlavo proprio ieri con Domenico, che in questo momento si trova in Norvegia con altri colleghi per la preparazione dell’opening event per dreamhamar.
Quando si progetta un cambiamento, è naturale parlare di evoluzione, sviluppo personale e metodologia.
Ieri Domenico sollevava una questione molto profonda sulla differenza fra la ricerca dell’equilibrio (un concetto che abbiamo utilizzato moltissimo negli ultimi anni per orientare le nostre scelte) e il miglioramento di sé stessi.
Sembrerebbe – come sostiene Domenico – che migliorare se stessi implica una visione negativa del presente, quasi un senso di colpa, e una conseguente spinta verso un futuro migliore. Una visione che presuppone una certa radicalità.
Sono negativo, quindi per essere migliore devo andare nel futuro.
Questa interpretazione – che ancora non so bene se condivido appieno – è in contraddizione con la nozione di equilibrio, che invece presuppone una ricerca del miglioramento meno radicale, più centrata nel presente e che mette in valore il nostro quotidiano, la semplicità e soprattutto la capacità di adattarsi al nostro intorno.
In poche parole, sembrerebbe impossibile trovare l’equilibrio applicando un metodo radicale.
La radicalità di cui io e Domenico abbiamo discusso è, un esempio fra tutti, quella del mio “fare 1 sola cosa alla volta”.
Io credo che certi radicalismi possano favorire la presa di coscienza di certe situazioni, come nella fattispecie la nostra incapacità di concentrarsi su un’unica cosa alla volta.
Forse, senza radicalità, continueremmo a fare ciò che facciamo senza rendercene mai conto.
Credo che, a volte, essere radicali sia importante per passare all’azione – e in questo penso al DONE MANIFESTO – ma sono d’accordo con Domenico che l’azione radicale deve essere seguita da uno stadio superiore di coscienza ed equilibrio.
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Vorrei scusarmi con chi mi legge se queste note sono poco chiare. Ritengo però importante mettere giù delle parole per fissare i pensieri e agevolarne la rielaborazione. Voi che ne pensate?