Nel dicembre 2009 io, Manuele e Massimo abbiamo fatto un viaggio nel deserto che, un pò a nostra insaputa, è diventato molto di più di una vacanza. L’abbiamo chiamato Verso Tosera – vers Tozeur – e quella che segue è una riadattazione di un testo che avevo pubblicato inizialmente nel blog del viaggio.
In quel momento mi trovavo a dover prendere delle decisioni molto importanti. Direi senza dubbio che dopo quel viaggio ho preso le due decisioni più importanti della mia vita. Nel 2009 vivevo a Parigi da ormai 7 anni, avevo un ottimo contratto di lavoro con HDA | Hugh Dutton Associés. Domenico, pochi giorni prima di partire per il deserto, mi aveva proposto di trasferirmi a Madrid per lavorare come architetto freelance con Ecosistema Urbano. Si trattava di cambiare tutto, radicalmente e in poco tempo.
Erano anni che sentivo che a un certo punto sarebbe arrivato il bivio oppure, forse, stavo semplicemente sperando che ce ne sarebbe arrivato uno. Un anno e mezzo fa, il mio bivio era lì davanti a me.
Il deserto assumeva a quel punto tutto un’altro significato: sarei partito e avrei cercato di costruire più vuoto possibile per poter pensare bene e decidere cosa fare. Come per INTRAVERSO, il viaggio era una strumento di conoscenza e introspezione. Quello che segue è il mio racconto di quel viaggio.
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Andrea mi ha aveva detto questa cosa molto bella.
Mi aveva detto che al ritorno dal deserto gli orizzonti si restringono e uno aspetta il giorno di poter tornare a perdersi con lo sguardo a 360°. Ma per fortuna di chi vive a Porto Potenza Picena, come noi, dopo il limite della ferrovia gli occhi ritrovano una certa libertà, anche se solo a 180°. Senza il mare sarebbe un carcere!
Effettivamente credo che, dal punto di vista della spazialità, la cosa che più colpisce del deserto sia questa nozione circolare, questi 360 gradi che non siamo abituati a vivere. Nel vuoto delle dune siamo costantemente il centro di un cerchio immaginario che non delimita niente. Una condizione che instaura una confusione delirante fra la sensazione di essere il fulcro di qualcosa – il cerchio immaginario appunto – e allo stesso tempo di non essere altro che un punto alla deriva nello spazio – perché il cerchio non delimita niente-.
Lungo l’asse terra-cielo, lo sviluppo spaziale del deserto è caratterizzato da un’orizzontalità pura. Ho avuto questo pensiero appena sbarcato a Tunisi, seduto sulla spiaggia a osservare le montagnette di sabbia, già tutto contento dell’aria lenta e pesante di sud. Avrei ritrovato lo stesso principio, più forte e amplificato dalle dimensioni illimitate, qualche giorno più tardi in mezzo alle dune.
foto : iomanuele | Flickr
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Questo viaggio verso Tosera, in un paese culturalmente molto diverso da quelli che conoscevo, la destinazione del deserto dove abbiamo trascorso a cielo aperto la notte del 31 dicembre, hanno assunto poco a poco una carica simbolica e quasi magica, forse inaspettata.
Tosera, città immaginaria battezzata in seguito e un’incomprensione sul nome Tozeur in una delle discussioni organizzative, scappava continuamente al nostro viaggio. Nel corso dei giorni, a più riprese abbiamo provato a raggiungerla, ma abbiamo finito per risalire verso Nord lasciando questa città senza visitarla, relegata al mondo del sogno, una specie di Monte Analogo della nostra spedizione. Senza una presa di posizione cosciente, abbiamo lasciato inviolato il territorio fantastico di questa città fin dall’inizio inesistente. Quel punto del deserto l’abbiamo lasciato lí a evocare per il futuro la stessa tensione attrattiva che ci ha portati laggiù. Andare verso Tosera non significava allora raggiungerla. Quella che ci era dapprima sembrata una tappa mancata, una destinazione fallita, s’è rivelata invece la conclusione perfetta del viaggio, la sua caratteristica infinita.
Sono nato in un paesaggio di mezzo, fra le colline e il mare, e forse questo spiega la mia tendenza a risolvere tutto come una tensione fra due punti, una sorta di equilibri magnetici. Tosera è il nostro nodo elettrostatico del deserto, che ci lega all’Africa, dove tutti torneremo.
Vedere le case rotte, le auto rotte, gli oggetti rotti, i muri rotti, le cose rotte, vedere bambine giocare per strada, vedere tanto vuoto, tanto poco uomo in cosí tanto spazio, tanto deserto e tanta sabbia tutta continua e tanto sud e tanta calma e tanta vita diversa nei caffè, vedere i ritmi cambiati… forse è tutto questo che ha trasformato questo viaggio in una ricerca, che ci ha portato a una serie di riflessioni vorticose intorno al mondo, al cambiamento del mondo dopo l’anno della crisi.
Io questo 2010 l’ho voluto chiamare l’anno del mondo.
Nel corso del viaggio mi hanno detto che sono iper-razionalista, poi iper-surrealista, poi iper-ottimista, poi iper-progressista. Massimo è stato definito iperrealista e anche complottista, mentre Manuele è stata definito un ragazzo pop.
Massimo, nella cabina della Zeus Palace | altre foto su flickr.com/immaginoteca
Manuele, nel deserto | altre foto su flickr.com/immaginoteca
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Mi piace pensare che per tutti e tre questo viaggio sia stato una specie di rito iniziatico per l’anno nuovo, una notte sotto le stelle in mezzo al nulla, in un deserto che azzera tutto e disinfetta. Eravamo cosí rinnovati, cosí puri, cosí nuovi che al ritorno dopo quella notte, mentre si intravedeva la città, mi è venuto naturale pensare che forse avremmo davvero ritrovato un mondo nuovo, un mondo cambiato, come quello che avevamo sognato intorno al fuoco, sotto le stelle.
In nave, durante la traversata, abbiamo citato “Il Mondo Nuovo” di Aldous Huxley e abbiamo letto e discusso brani di Hoffmann, il dio degli acidi, che sollevò un’inevitabile dibattito sull’uso delle tecnologie (l’LSD come tecnologia della creatività o della spiritualità?). Loro sognavano per il futuro un incontro magico della tecnologia con la spiritualità e io credo che questo stia avvenendo. Come spiego anche qui, penso che le tecnologie della comunicazione siano un mezzo per canalizzare, connettere e amplificare contenuti emotivi e sensoriali altrimenti ineffabili. In questo senso, credo che mai come in questo momento la tecnologia ci stia allontanando dal materialismo e avvicinandoci alla magia.
Anche in architettura questo è sempre più evidente.
Negli ultimi alti ho avuto la fortuna di partecipare a un’avanguardia architettonica, che considera la costruzione come un aspetto molto limitativo, direi marginale, dell’architettura. Sono gli architetti che non costruiscono.
Tutti i contenuti che possiamo oggi scambiare grazie alla tecnologia rappresentano infatti un nuovo materiale architettonico e urbanistico, lontano dalle mura e dagli edifici. Per questo credo si possa iniziare a parlare di un’architettura delle sensazioni, una configurazione spaziale non più meramente materiale: un’architettura sensoriale. Mi sembra inoltre di intravedere in questo cambio paradigmatico, che mi sono azzardato a paragonare alla rivoluzione industriale o a quella del maggio del 68, una opportunità per un nuovo equilibrio fra gli elementi che strutturano il mondo, fra il fisico e il virtuale, fra i sensi e le emozioni.
Credo anche, per concludere, che ogni architetto dovrebbe vedere il deserto, riflettere su questo luogo del vuoto, cosi’ lontano dall’architettura costruita, eppur capace di contenere magistralmente mistero e poesia.
Che cosa, meglio dello spazio vuoto del deserto, potrebbe farci riflettere sul significato profondo dell’architettura?
altre foto suflickr.com/immaginoteca
Il video del viaggio è stato realizzato da Roberto Lombardi (NONMELOSPIEGO PRODUZIONI VIDEO)
con delle riprese non premeditate effettuate con un telefonino | +info
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Giusto per chiarire, voglio dire che al ritorno da Verso Tosera, in pochi giorni ho accettato la proposta di Domenico e ho iniziato a smantellare tutto il mio mondo parigino per poterne ricostruire un altro a Madrid, dove vivo attualmente (next to Parque del Retiro ;). Questa decisione professionale, insieme ad un’altra molto più personale, hanno fortemente condizionato la mia vita dell’ultimo anno e mezzo, in modo estremamente positivo.
Grazie a Massimo e Manuele per avermi portato nel deserto, e grazie al nostro amico Nabil per la sua inestimabile accoglienza e che, senza troppo saperlo, si è trovato a viaggiare insieme a noi per gran parte del tragitto. Il suo calore e il suo supporto sono stati fondamentali per la riuscita di questo viaggio, che ci ha anche fatto scoprire un popolo estremamente ospitale e aperto.
Mi piacerebbe concludere con le parole di Andrea, che approfitto per ringraziare per averci aiutato nell’organizzazione del viaggio:
Tosera è il surrogato immaginario del monte Timbaine che inseguo da anni…
Poi rompo un semiasse al fido fuoristrada, poi ancora cado ripetutamente in moto.
Timbaine resta al suo posto ed io non sono ancora sceso oltre Remada e Tataouine (lo stesso nome del pianeta di Star Wars!!!)
I miei viaggi da molti anni sono discese a sud. L’africa chiama…dal Sahara alla savana della Tanzania, passando per i parchi del Kenia, le aride steppe presavaniche somale, gli altopiani etiopi. Una passione che viene da lontano,forse un tarlo caratteriale che nasce dal desiderio onirico del sentirsi poco in mezzo all’infinito,perdersi…per sapersi ritrovare. Piu’ forte. Solo.
Questa sensazione la trovo solo uscendo dagli spazi angusti di un europa routiere.
Il mal d’africa è questo: il bisogno di spazio.
Spero che il vostro viaggio sia stato il primo passo utile a perdersi. Lo spero per voi…
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